LE ORIGINI
C’era
una volta, all’inizio degli anni ‘90 dello scorso secolo, un gruppo di
allegri e squattrinati studentelli appassionati di musica che, cantando
tra le file di un coro polifonico amatoriale della capitale, pativano
svariate frustrazioni, sia per il repertorio proposto, talvolta
retorico o noioso, che per le modalità con le quali si svolgeva
l’attività corale. Per placare tali frustrazioni si riunivano a casa la
domenica pomeriggio per cantare tutto quello che a loro andava, senza
limiti di opportunità o di decenza. Il divertimento ed il piacere che
dà la musica erano garantiti, i risultati meno, ma di questo fatto,
ritenuto trascurabile, a nessuno importava niente.
Come capita però in questi casi, ad un
certo punto qualcuno cominciò a chiedere se il gruppetto poteva cantare
al battesimo del cuginetto, poi magari al matrimonio della cognata, ed
in queste occasioni accidentali, non cercate e non volute, capitò che
"orecchie indiscrete" proponessero alla rumorosa banda di esibirsi in
qualche concerto, più o meno informale.
L'INCIDENTE INIZIALE
Ed il diavoletto tentatore si sa com’è. Nel caso specifico si travestì
nientemeno che da frate francescano, con tanto di piedoni nudi,
sandaloni e barbona grigia. Come si fa a dire di no alle profferte di
tale simpatico personaggio? Era il 1993: ci si buttò nell’avventura e
si preparò un concerto, aggregando garibaldinamente qualche altro amico
con velleità canore, e presentandosi senza nome e "senza rete", ed
incredibilmente c’era molto pubblico, ed ancora più incredibilmente
tale pubblico applaudì calorosamente. Il fraticello istigatore in
quella sede dichiarò davanti a tutti, per propria delirante iniziativa,
che il gruppo si sarebbe chiamato "il coro dei bravi e dei belli".
Pensando di essere sicuramente bellissimi, ma avendo dubbi sulla nostra
effettiva bravura canora, si discusse su cosa volevamo fare. Ma altre
piccole e stuzzicanti occasioni piovvero senza che le cercassimo, e ci
ritrovammo a essere "coro" per il resto del mondo, pur se tra noi non
si riusciva a considerarsi tale.
Partimmo in 14, con l’inconsueto modulo tattico
4-3-2-5 (4 soprani, 3 tenori, 2 contralti, 5 bassi), che risultò subito
vincente, a detrimento dei cultori di teorie corali applicate.
LA VERGARA
Il gruppo primigenio, quello che si cantava addosso la domenica
pomeriggio, non aveva una guida vocale preminente: chiunque proponesse
un brano improponibile da cantare, si accollava l’onere di guidare gli
altri, bene o male, durante lo studio. Ma dalla prima occasione in cui
si cominciò a cantare "fuori dalla porta di casa" sorse il problema su
chi dovesse condurre la mandria, tecnicamente ed artisticamente, fuori
dalle insidiose paludi spernacchianti dell’insuccesso. Davanti al
dilemma tutti puntarono il dito su Claudia, che aveva tre doti
preminenti: era diplomata in pianoforte, e quindi tecnicamente la più
preparata di tutti, aveva una innata sensibilità musicale ed una
propensione ad assorbire ed integrare in sé svariati stili o modalità
di repertorio, al pari delle calorie fornite dai carboidrati, ed
inoltre aveva (ed ha ancora, haimè) la capacità di incaponirsi ed
incavolarsi con grande energia e fracasso e dire un sacco di parolacce,
e tale fastidioso difetto viene da sempre definito dagli esperti
"spiccata capacità di coordinamento e di guida del gruppo, carattere
deciso, energico e positivo", e quindi il destino, il suo patrimonio
genetico e la sua tendenza al turpiloquio l’hanno spinta verso il
lusinghiero compito di "vergara", cioè colei che conduce il gregge a
forza di bastonate, ed hanno spinto noi a subirla nel bene e nel male
per tutti questi anni.
LA NOMANZA
Una volta che c’era il coro, c’era il direttore, c’erano perfino le
occasioni per cantare, sorse il problema di dare un nome acconcio al
gruppo, che gli permettesse di essere facilmente identificato e
ricordato, in modo dignitoso e significativo. Si aprì un lungo e focoso
dibattito, poiché emersero due proposte diverse, altrettanto valide,
entrambe pregne di significati musicali e di doti, ed il coro si spaccò
esattamente a metà: chi voleva un nome e chi voleva l’altro. Furono
mesi di discussioni accese quanto infruttuose, e la matassa non si
dipanava. Sennonché in un weekend graziosamente fornito di ponte con la
festa dell’Immacolata, nel dicembre 1993, si decise di trascorre due
ameni giorni insieme in una casa in montagna, senza altri fini se non
quello di divertirsi e fare cagnara. Ebbene, a pranzo, dopo aver
ingollato una varietà inusitata di grassi suini e formaggi esagerati
ridondanti di sublime colesterolo, e scolato quantità di vini superiori
ai limiti della decenza, in un momento di baldoria senza capo né coda,
qualcuno osservò che l’ambiente era altamente "entropico", cioè, come
ci insegnano la fisica e la statistica, molto caotico e disordinato. E
qualcun altro sparò "e perché non ci chiamiamo Entropia? Con il caos
che ci contraddistingue!!". L’alcool in circolo nei nostri apparati
cardiovascolari spinse il gruppo ad una decisione illogica, repentina
ed unanime. E in pochi minuti fu generato il nome di "entropie
armoniche", che ha un significato musicale approssimativo e
discutibile, è un nome difficile da ricordare e non si sa quanto
dignitoso, e quindi assolutamente inidoneo allo scopo prefissato, ma
identificativo della nostra mancanza di ordine e disciplina, per cui ce
lo sentivamo calzato addosso, anche se ruvido e spigoloso. E da allora
il gruppo corale porta in giro con un certo ingiustificabile orgoglio
tale nome, che pochi riescono a ripetere senza errori.
FRITTATE COMBINATE
E con questo nome il gruppo ne ha combinate di cotte di crude: solo in
parte ha ricalcato il cammino dei cori polifonici più tradizionali, con
i concerti nelle chiese o nei teatri delle nostre periferie. Non si è
però fatto sfuggire altre occasioni un po’ fuori dalle righe,
ricavandone esperienze forse discutibili sotto svariati aspetti, ma
vissute sicuramente con particolare divertimento.
Vogliamo parlare di quella volta che in Campidoglio
a Roma, nella prestigiosa sala della Protomoteca, il gruppo ha cantato
per l’associazione delle "gattare" romane soltanto brani riferiti ai
gatti?
Oppure quando, per due anni consecutivi, il gruppo è
stato parte in causa nella "festa delle Messi" a San Gimignano, in
Toscana, una pittoresca ricostruzione di una antica festa medioevale,
in un contesto di rara bellezza storica. In quella occasione fummo
"cantori di strada", girando per le vie ed i luoghi della splendida
cittadina, completamente reimbardata e rivestita come 700 anni fa,
cittadini compresi. Ed anche noi, ricalcando le antiche orme dei
trovatori, o forse degli accattoni, cantavamo per la via vestiti in
maniere improbabili, nella spasmodica rincorsa dell’antico. E lì gli
imbarazzi si sprecavano: tra i maschietti della banda, prima
dell’evento, non era difficile udire frasi quali " io in giro con
quella calzamaglia non ci vado!!". Però è ancora esaltante il ricordo
della cena tutti in costume antico, con la gara a chi sputava più
lontano i semini del cocomero…..
E le esperienze con le orchestre? Diverse, con
risultati vari ed alterni, ma sempre entusiasmanti. Per due anni
abbiamo visitato il repertorio della musica sacra di Antonio Vivaldi,
insieme al coro ed all’orchestra "Johannes Hockeghem", a Roma, nella
basilica di Santa Prisca, sull’Aventino. Una musica stupenda, e la
ricerca del dialogo con il suono dell’orchestra barocca è un’esperienza
augurabile a chiunque affronti l’attività corale. E la partecipazione,
nel 1995, alla fondazione del coro "Philarmonia" di Roma, nel quale il
gruppo "entropico" fluì a ranghi compatti per cantarvi il mitico
Requiem di W. A. Mozart, eseguito nella stupenda cornice del borgo
antico di San Leo, al confine tra Romagna e Marche, in un prestigioso
festival estivo. Fino all’esperienza del "Gloria" di Vivaldi, cantato
da "Entropie armoniche" in autonomia, senza la rete di salvataggio di
altri gruppi a condividere il palco, se non l’orchestra, nella chiesa
del borgo di Isola Farnese, alle porte di Roma. Mettiamoci pure i
rumorosi "Carmina Burana" di Carl Orff, cantati nel 2005 al fianco del
"Coro Lirico Sinfonico Romano" nella prestigiosa cornice
dell’Auditorium di via della Conciliazione a Roma…. modestamente!
Entropie Armoniche ha avuto anche la faccia tosta di
produrre ed eseguire la celebre ed affascinante Misa Criolla, realizzata
con solisti vocali interni o amici, strumentisti estratti dalle
spumeggianti file de gruppo, e percussionisti giovani ed abili
catturati in giro per l’occasione. Essa fu proposta nel dicembre del
1999 nella chiesa di S. Paolo entro le mura a Roma, con indiscutibile
successo, e con un particolare gusto da parte dei coristi. Tale brano è
stato poi ripreso ed eseguito, insieme alla Navidad Nuestra, nel 2005,
in collaborazione con il coro "Claudio Casini" dell’Università di Tor
Vergata, nell’ambito della stagione concertistica di quella università,
con un gruppo di strumentisti sudamericani.
È un ricordo particolare l’evento che ci vide
coinvolti oramai a metà degli anni ‘90, e che noi ricordiamo
gergalmente come "Patre nostu annummenatu", dalle parole del brano che
cantavamo in un gorgo parossistico di musica e movimento che concludeva
la kermesse. In quell’occasione fummo parte in causa in uno spettacolo
di musica, teatro e danza dal titolo "In nomine Patris", inventato da
Nando Citarella ed Anna Cuocolo, in cui musicisti e danzatori popolari
si contrapponevano a musicisti "colti" (noi….) e danzatori classici in
un coraggioso excursus nella storia della musica sacra italiana, sia
dal punto di vista dagli altari che da quello popolare dei fedeli
semplici e spontanei. Le cornici nelle quali ci trovammo a cantare
furono estremamente suggestive: da quelle di stupende cattedrali
medioevali a quella del prestigioso Festival internazionale di
Benevento. Il ricordo più particolare è però il gesto dei danzatori
classici, che volavano sulle punte dei piedi danzando sulla musica
delle sole nostre modeste ma appassionate voci: un’esperienza
sicuramente indimenticabile.
Qualche anno dopo (era il 1998???) ci fu offerta
un’occasione veramente notevole. Il coro avrebbe dovuto cantare insieme
alla celebre cantante Ivana Spagna la canzone che Elton John aveva
scritto per il film di Walt Disney "Il Re Leone", fornendo un sostegno
musicale e una nutrita cornice, durante l’innaugurazione del Disney
Channel televisivo in Italia. Anzi, la canzone era il primo evento in
assoluto trasmesso dalla nuova emittente satellitare in Italia. Che
opportunità particolare! Ci buttammo anima e corpo nell’impresa,
studiando il brano con grande attenzione. Andammo alle prove, il giorno
prima dell’evento, pieni di entusiasmo "vocale". Purtroppo, sul posto,
ci accorgemmo che durante il brano veniva diffusa a volume esagerato la
base musicale preregistrata sulla quale cantava, opportunamente
microforata, la Spagna, e la base comprendeva già il suono del coro,
perché era il supporto musicale proprio del film! Praticamente alla
produzione dell’evento non occorreva un coro che cantasse, ma che si
muovesse in modo spigliato, con un comodo play back. Ci trovammo ad
essere coreografia senza volerlo, e non più coro, che in effetti non
serviva. Insomma, ci fecero indossare coloratissimi tuniconi, ci
spiegarono tutta la serie di movimenti coreografici che dovevamo fare
con disinvoltura mass mediatica, ci misero alla prova…. ma detta prova
non dava risultati fantastici! Allora la produzione semplificò i nostri
movimenti e ci buttò, non senza qualche titubanza, nell’impresa.
Risultato: durante la diretta cantammo benissimo, con tutto il fiato
che avevamo in corpo, tantochè Ivana Spagna alla fine ci disse "che
bello cantare con un coro vero!" (sic!), ma la parte "visiva"
coreografica ebbe risultati fallimentari, al limite del disastro, in
diretta televisiva nazionale! Il colmo fu che il giorno dopo, a Laura,
corista nonché neurologa clinica in carriera, capitò di incontrare in
ospedale un’addetta che le disse: "Ma dottoressa! C’era anche lei ieri
sera sul canale della Disney, in quel coro dove s’entuzzavano?", e a
Roma "intuzzarsi" vuol dire urtarsi in malo modo. Insomma, il
fallimento fu garantito! Pazienza, considerato che ci divertimmo molto.
Per variare l’offerta, nella storia di Entropie
Armoniche vi è persino un film! Sì, avete capito bene, il coro ha
registrato alcuni brani della colonna sonora di un film, e un drappello
di "entropici" ha girato alcune scene nelle quali un coro partecipava
alla realizzazione di un musical. Un evento sicuramente particolare! I
risultati? Beh….. la musica non si poteva definire certo bella,
l’esperienza in sala di registrazione fu abbastanza problematica, il
film in sé poteva piacere e poteva non piacere, ma la questione si è
dimostrata secondaria perché l’opera non è mai stata distribuita, e
quindi ben poche persone al mondo l’hanno vista…. e questa per noi è
una grande fortuna!
CONCORSI, RICCHI PREMI E COTILLONS
Nell’anno 2000 qualcuno, che probabilmente aveva battuto la testa, propose la
partecipazione del coro ad un concorso per cori polifonici. È
palesemente assurdo che un gruppo corale che si distingue per
indisciplina, eterogeneità ed instabilità dei componenti, scarsità di
prove, quantità consistente di tempo alle medesime irrimediabilmente
perso nella sublime arte del "gigioneggiamento", possa ardire a pensare
di confrontarsi con altri cori e sforzarsi di primeggiare per qualità
tecnica ed artistica della proposta. E tale assurdità fu riconosciuta
senza dubbi dall’intero gruppo, non esclusa Claudia. Ma forse
paradossalmente fu proprio questo il motivo irragionevole che ci spinse
a partecipare. Ci sembrò divertente misurare i nostri limiti in un
confronto agonistico, tutti pronti a farci umiliare e prendere schiaffi
da più meritevoli formazioni corali, senza timore di malumori o
frustrazioni di sorta. Ritenemmo che un confronto diretto con altri
gruppi potesse essere, oltre che una bella occasione umana, una
possibilità di imparare cose nuove e di marcare i nostri difetti, in
modo da poter poi migliorare.
Ci iscrivemmo quindi al concorso regionale "Città di
Rieti", e si decise di partecipare alle sezioni "musica antica",
"musica del ‘900" e "musica popolare laziale di autore anonimo". Per
quest’ultima sezione scegliemmo di puntare su qualcosa di inedito.
Andrea Di Pietro, incallito cantore basso fin dalla fondazione del
gruppo, si cimentava per diletto nella fine arte dell’armonizzazione
per coro, e nel corso degli anni aveva migliorato decisamente le
proprie performances creative, perché era uso studiare armonia in
bagno, comodamente seduto e, conoscendolo, sappiamo quanto tempo aveva
avuto a disposizione per studiare armonia! Quindi aveva scritto per il
gruppo varie armonizzazioni molto piacevoli. Cercammo quindi qualcosa
di cui non esistesse una versione armonizzata per coro, in modo che il
prode Andrea potesse sfogarsi a creare qualcosa di originale per noi.
Con l’aiuto appassionato di Sara Modigliani del "Canzoniere del Lazio",
una vera e propria autorità in materia, scegliemmo "la finta
monachella", una canzone del ’600 che narra una storia maliziosa e
sfiziosa. Da essa Andrea generò un qualcosa per il coro che ci sembrò
forse imperfetto, ma gustoso da cantare. Magari la ciambella non era
con il buco a regola d’arte, ma l’avventura ci piaceva affrontarla
così, tanto non puntavamo certo a vincere.
L’ultimo giorno prima della scadenza per
l’iscrizione, discutendo in prova, una voce ispirata disse "ma perché
non ci iscriviamo anche alla sezione "gospel""? Noi in repertorio
avevamo un solo brano più o meno gospel, in quanto armonizzato dal
prode Andrea, che dei neri d’America aveva solo un po’ i capelli ricci,
e ne aveva fatto, molto tempo prima, una sua esercitazione "nello stile
di", ma fine a se stessa. Ai dubbi del gruppo sull’opportunità
dell’impresa la voce rispose "ma tanto andiamo allo sbaraglio, quindi
che ci importa? Così, essendo quello un brano di repertorio da noi
molto ben conosciuto, con esso possiamo scaldare le voci e prendere
confidenza con il palco del concorso, per poter poi affrontare gli
altri tre brani con maggiore energia. Se arriviamo ultimi alla sezione
gospel, chi se ne frega?". Il coro, convinto ed unanime,
improvvidamente approvò.
Per le altre due sezioni, dopo un’attenta selezione,
si decise di presentarsi con due brani del grande repertorio
polifonico, di due autori di consistente caratura, ed abbastanza
coinvolgenti dal punto di vista emotivo, con possibilità di potersi
esprimere al meglio sul fronte dell’interpretazione.
Da notare che, pochi istanti prima di salire sul
palco del concorso, l’imprevedibile Andrea cambiò alcune note della sua
elaborazione de "La finta monachella", la cui versione definitiva non
era quindi mai stata provata, e non si è mai saputo se lo ha fatto per
reali esigenze tecnico-musicali, o se per aumentare la suspense, o
meglio la confusione che contraddistingue tutti gli eventi di questo
coro.
Insomma, come andò a finire? Vincemmo le sezioni
"Gospel" (incredibilmente!!) e "musica popolare", arrivammo secondi
nelle altre due sezioni, e ci fu aggiudicato il premio speciale della
giuria per la proposta originale de "la finta monachella", che Andrea
ritirò con giustificabile orgoglio. Di questo risultato ancora ci
stupiamo, dopo gli svariati anni trascorsi. Ma la soddisfazione più
grande ce la prendemmo con la vera a propria ovazione del pubblico
presente nel teatro durante il concerto informale di intrattenimento,
ben prima che fossero noti i risultati del concorso, poiché tra tutti i
cori che si esibirono fummo l’unico oggettivamente in grado di non
annoiare gli ascoltatori.
ARMONIZZATORI, TRASCRITTORI, IMPASTATORI, PASTICCIONI
Una caratteristica che ha sempre distinto lo strano gruppo entropico da
molti altri cori è la presenza, tra le sue file, di spavaldi,
coraggiosi, o forse meglio imprudenti soggetti che, pur non essendo del
mestiere, e non ostentando fronzolosi diplomi accademici rilasciati da
conservatori ed altre paludate scuole musicali, hanno avuto la
sfrontatezza di metter mano a pentagrammi vuoti, e riempirli con note
varie, pretendendo poi di farle cantare al coro.
Fuor di sospetto è Claudia, la "Vergara", che
qualche diplomuccio attaccato alla parete ce l’ha, ed anche l’autorità
tecnica per combinare qualche sapida frittata musicale. Essa si è però
limitata a generare sporadiche trascrizioni per coro, fornendo brani
molto efficacemente adattati alle voci d’insieme, ma senza mettere mano
nel campo dell’armonizzazione, cioè della elaborazione e deformazione
della parte armonica, né tantomeno in quella della creazione di musica
totalmente sua, che, ella dice, non le esce, neanche se si spreme. Ma
noi attendiamo fiduciosi evoluzioni future del fenomeno. Se si
considera che è riuscita in passato ad "armonizzare" genialmente il
tiramisù, ed a trasformarlo in altra sublime creazione, che poco aveva
ancora in comune col cremoso capolavoro primigenio, ma che lei si
ostinava ad intitolarlo come tale….. . La dobbiamo però perdonare per
la scarsità delle sue creazioni, perchè il contributo che è riuscita a
dare in tanti anni di impegno nel dirigere e coordinare questo
squinternato ed estremamente mobile coacervo di personalità vocali, più
o meno stabili e più o meno affidabili, è palese e riscontrabile dalla
simpatia e dal consenso che il pubblico negli anni ha garantito
all’attività del gruppo. E questo le ha dato certamente l’energia e
l’entusiasmo per crescere e trasformarsi da improvvisata
azzeccagarbugli di problemi corali, a direttrice di coro armata di
tecnica e conoscenze conquistate con la capa tosta che tiene e la
voglia di approfondire la disciplina, seguendo corsi e non trascurando
varie esperienze formative, miracolosamente svolte tra matrimonio e
doppia impegnativissima procreazione. Nonostante tale esperienza, non
ha moderato lo stile rumoroso e allegramente aggressivo: in poche
parole continua ed insultarci e a prenderci a male parole da più di
dieci anni, come alle origini, ma c’è da augurarsi che questa spirale
di violenza verbale non si estingua presto, se ci permette di cantare
insieme in un modo che rimane speciale ed irrinunciabile, anche se non
è del tutto escluso che qualcuno un giorno o l’altro durante le prove
la prenda a pernacchie.
Purtroppo necessita di una citazione il meno
meritevole dei "creatori" entropici, se non altro perché esiste qualche
presunto spartito da lui firmato. Sandro, che da sempre si dimena tra i
bassi, ha colpito su due fronti: quello della creazione di testi e
quello della scrittura di "musica" originale, sgorgata dalla perniciosa
punta della sua penna. I testi si distinguono per lo scarso spessore
intellettuale dei contenuti (vedi la discussissima "alcolica", che
tanti conati di vomito ha suscitato tra le file del coro).
Concediamogli il fatto che essi talvolta sono riusciti a strappare il
sorriso di qualche spettatore, ma sempre con il contributo
straordinario della musica, confezionata su ben altri livelli da
Andrea, di cui si parlerà più avanti. Non contento dello scarso
successo ottenuto, il malcapitato basso è riuscito, in passato, a
comporre brevi frammenti originali di musica presunta sacra,
concretizzatisi nella cosiddetta "missa lyophilizzata", che oramai
nessun orecchio umano mai più ascolterà. Viene ricordato a stento per
il Kyrie, che si dipana con inconcepibili evoluzioni armoniche su una
melodia gregoriana, inventata però dal discutibile autore durante un
lungo bagno, mentre si lavava mollemente un polpaccio. Essa non ha
quindi riscontro su nessun antico incunabolo musicale, per cui è
gregoriana soltanto nelle deliranti intenzioni dell’autore. Sperare che
il soggetto in questione sia in grado in futuro di armonizzare
qualsivoglia brano, anche fosse solo "fra Martino campanaro" a due voci
è, onestamente, una pia illusione.
Di tutt’altro spessore il contributo musicale di
Daniele, che dalle arditezze della fisica teorica e sperimentale, i cui
segreti albergano comodamente nel suo cervello rispettabile, si è
lanciato qualche volta in autodidattici voli pindarici di composizione
musicale, con risultati a dir poco sorprendenti, non fosse altro per il
fatto che Daniele è un tenore, e si sa che il contributo intellettuale
dei componenti di tale sezione corale è, a dir poco, scarso. Ma lui ha
voluto tenacemente essere l’eccezione che conferma la regola, e si è
dato a trascrivere per coro nientemeno che Bach e Vivaldi: la sua
elaborazione dell’"Aria sulla quarta corda" ha fatto praticamente il
giro d’Italia. È anche riuscito nella sottile impresa
dell’armonizzatore, con pochi ma non trascurabili risultati: la sua
versione corale della canzone napoletana "tu can un chiagne" commuove
le masse, anche se nei quartieri spagnoli di Napoli lo cercano armati
di pistola. Non pago di ciò è riuscito a lanciarsi anche in varie
arditezze compositive, da un gustoso Alleluja armato di dignitoso
contrappunto, a originali esercizi di creazione nel campo della canzone
popolare (il suo "Otello a Policoro" giace immeritatamente nelle liste
d’attesa dei brani entropici di prossimo studio oramai da troppi anni).
Tra i casi di scribacchini senza patente è doveroso
citare un vero e proprio caso clinico, e cioè quello di David,
anch’esso basso. Lo stravagante architetto in questione è afflitto da
una sindrome che potrebbe essere oggetto di studi approfonditi da parte
di eminenti luminari della psicoanalisi. Se un brano musicale,
qualsiasi esso sia, ed a qualsiasi genere o categoria appartenga, gli
garba o lo colpisce particolarmente, lui non si limita ad ascoltarlo,
amarlo, studiarlo: no! Lui lo trascrive per coro, e la sua non è una
trascrizione critica, ma pedissequa: indossa la cuffia per una più
attenta analisi acustica, e riascoltando i segmenti del brano
innumerevoli volte, trascrive i suoni che sente sulle linee melodiche
delle voci che compongono il coro. Insomma, David potrebbe trascrivere
per coro una sinfonia di Shostakovich o il trillo di un cellulare,
passando per la musica tribale o il jingle di una pubbilicità
televisiva. Accanendosi negli anni in questa stravagante ed autolesiva
attività, ha fornito al repertorio di Entropie alcuni brani, che però
permettono di distinguerci per originalità della proposta. Da "Maramao
perché sei morto" a quartetti per archi, alla musica dei quali riesce
anche ad aggiungere improbabili testi, con risultati spesso
sorprendenti, più che altro per il fatto che, conoscendo lo
sconcertante soggetto autore, tali prodotti non possono che essere
frutto del caso. La trascrizione di "Oblivion" di Astor Piazzolla per
coro e strumento solista, con la sovrapposizione del testo di una
particolare poesia di Garcia Lorca, è la piacevole e toccante prova
della validità delle più sconcertanti teorie statistiche, e della
completa incomprensibilità di che cosa possa ospitare entro di sé il
cranio dell’ineffabile quanto instabile David. Last but not least merita la chiusura
il grande Andrea, detto "il pazzo" da innumerevoli anni, del quale il
soprannome racchiude ed esplica una caterva di verità sul suo conto e
su quello del suo equilibrio psichico. La sua carriera musicale parte
dalla chitarra, come per ogni adolescente medio che abbia dimenato i
suoi ormoni tra gli anni ’60 e i ’90. Ma, non pago della banalità
musicale dell’inflazionato strumento, si compra un banjo in saldo, e
comincia a studiare senza ragione la musica blue grass americana, da
completo autodidatta. Dopo alcune lesioni alle falangi riesce
sorprendentemente a generare momenti musicali decisamente country,
suscitando spesso sconcerto e divertimento. Ma poteva una mente
deragliata quale la sua accontentarsi di un semplice banjo? Il fremente
ragazzo, tra una partita di calcio e l’altra, dà di mano nientemeno che
al trattato di armonia di Rimsky-Korsakoff, uno dei testi più complessi
e completi della letteratura musicale didattica, e leggendolo e
rileggendolo nei momenti più disparati della sua farraginosa esistenza,
alimenta un estro creatore che covava nel profondo delle sue parti
molli. Quindi, in preda ad una sorta di invasatura musicogenica, si
mette a fare esperimenti di armonizzazione su "chitarra romana" una
vecchia canzone della cui versione corale il mondo francamente non
sentiva il bisogno. E da lì è stato poi difficile frenare la sua focosa
febbre armonizzatrice, che ha infierito su musica popolare, brani
classici, gospels, canzoni d’autore, musica sacra, canzoni di Natale e
chi più ne ha più ne metta, specialmente prima che decidesse di mettere
la testa a posto con laurea, matrimonio e progenitura, eventi che hanno
moderato, ma non certo estinto, la furia compositoria. La sua
produzione ha caratterizzato in modo marcato il repertorio e la
proposta di "Entropie Armoniche", specialmente qualche anno fa,
culminando nella blasonata creazione de "La finta monachella" di cui si
è parlato nella parte dedicata ai concorsi. Il "pazzo" Andrea in
questione non si è però limitato ad impastare e modellare musica già
esistente. Quale novello Mozart, o novello Mino Reitano che dir si
voglia, ha aggredito allegramente il pentagramma per riempirlo di
musica sgorgata dal più profondo del suo subconscio, generando brani
originali dei più disparati: da misticheggianti Ave Maria, a canzoni
varie, più o meno garrule, su disdicevoli testi del sopracitato Sandro
(col quale illo tempore ha formato una coppia sulla scia di
Battisti-Mogol, con attività estremamente saltuaria e di qualità
discutibile…) o addirittura su testi propri, nell’apice della
completezza artistica, con la creazione di brani in grado di entrare
molto facilmente nell’immaginario collettivo, e diventare veri e propri
marchi di fabbrica, come la mitica "Vado a 440 Hertz", che pur basata
su un testo allegramente squinternato, lancia un messaggio di gioia del
far musica assolutamente condiviso dallo spirito degli amici antropici,
tanto che tale brano, brillantemente armonizzato dall’autore per le
voci corali, è diventato una sorta di sigla stendardo di "Entropie
Armoniche" che lo ha proposto innumerevoli volte a conclusione dei suoi
concerti, con grande divertimento e sempre straordinario successo di
pubblico, come nel citato caso dell’esibizione nel Teatro Flavio
Vespasiano di Rieti durante il concerto del concorso corale di cui già
si è raccontato. Ad Andrea mancava soltanto di dirigere un coro, e non
si è fatto mancare neanche questa occasione. Dopo aver esercitato,
nell’arco degli anni, alcune supplenze all’attività direttoriale di
Claudia per cause di forza maggiore, ha fondato un altro coro, che sta
facendo crescere con risultati sorprendenti. Questo però non gli ha per
ora impedito di continuare a fornire Entropie Armoniche la sua
ingombrante e sempre rumorosissima, ma fondamentale, presenza; la sua
pernacchia nella versione corale di "Seaside Randevous" è praticamente
insostituibile.
Il destino ha messo a dura prova lo spirito del gruppo di amici che
compongono Entropie Armoniche, privandoci con violenza della presenza
di due persone che al coro hanno dato molto, e delle quali sentiamo
fortemente la mancanza.
Corrado, che era entrato timidamente nella sezione
dei tenori poco dopo la fondazione del gruppo, imparando a diventare
cantore, attività per lui del tutto nuova, con pazienza e silenziosa
caparbietà, senza schiamazzi ma con una caratteristica tendenza ad un
simpatico brontolio finto-polemico, era diventato una presenza preziosa
e significativa, specialmente nei rapporti umani che sono la trama
portante di un gruppo che svolge un’attività comune. Nel 1997 un
incidente stradale orrendo lo ha catapultato in un letto di ospedale,
in uno stato di coma che lasciava poche speranze alla possibilità che
potesse tornare ad una vita normale, e a cantare ancora con noi. Dopo
alcuni mesi di angoscia e di speranza, durante i quali gli amici
cantori andavano intorno al suo letto a cantare i brani del repertorio
del coro che lui più amava, nel tentativo di sollecitare qualche
reazione che potesse riportarlo alla coscienza in una delle più
sconvolgenti esperienze corali che si possano vivere, purtroppo se ne è
andato, lasciandoci in eredità la voglia di esserci, e di impegnarsi
per conquistare una cosa bella, come è il canto d’insieme.
Angela è stata per più di dieci anni una figura
fondamentale nel coro, nelle amicizie e nell’affetto di tanti di noi.
Il suo entusiasmo musicale, il suono dolce del suo flauto traverso, la
sua irresistibile allegria, le sue barzellette assolutamente
demenziali, le sue canzoncine idiote pensate per la didattica musicale
ai bimbi, che esercitava con passione inimitabile, le sue scarpe,
dall’estetica insolita e discutibile, che erano sempre tormentosamente
in rumoroso confronto con le altrettanto discutibili scarpe di
Antonella, sono nei nostri cuori. Un brutto male, del quale non
possiamo farci ragione, l’ha portata a cantare da un’altra parte, non
sappiamo quanto lontano da noi, portandocela via in breve tempo. Ma la
sua presenza unica ingombra ancora le nostre riunioni, e ci si aspetta
sempre da un momento all’altro di sentire le sue battute surreali. Con
una decisione più istintiva che ragionata, il gruppo ha organizzato una
rassegna corale nel nome di Angela, che dal 2005 si svolge a Giugno
nel paese di Jenne, sulle montagne laziali, dove ora Angela riposa.
Sentivamo il bisogno di andare a cantare con lei, e di fare festa nello
stile della sua splendida figura. E per ora ci sembra di esserci
riusciti abbastanza bene.
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